7 aprile 2006 – CONSIDERAZIONI PRE-ELETTORALI

Girando per le strade della vostra città avrete sicuramente notato un manifesto, di propaganda elettorale, che recita le testuali parole:

"oggi precarietà domani lavoro".

Il senso di fastidio che questa immagine ci crea deriva certamente dalla consapevolezza che il mittente di questo messaggio è proprio quel centro sinistra che – varando la legge Treu – ha aperto le porte alla precarizzazione selvaggia.

Non giova ricordarsi degli atteggiamenti da struzzo e delle lacrime da coccodrillo che, di volta in volta, di fronte all'enormità del problema,hanno assunto i vari esponenti politici: al principio hanno negato l'esistenza di un meccanismo di precarizzazione sistematico, poi hanno cercato di minimizzare il tutto e infine, di fronte l'evidenza, stanno cercando di cavalcare la "questione precarietà" distinguendo i lati negativi da quelli positivi o perlomeno necessari.
Fin qui ripetono semplicemente "le loro ragioni" di nove anni fa.
Lo slogan afferma che per sconfiggere la precarietà bisogna ottenere lavoro. Ma come? Nell'opulento nord il tasso di disoccupazione è così basso da fare sì che gli economisti citino il raggiungimento della piena occupazione;tanto che tutti/e, ma in particolare modo i più precari/e, hanno più impieghi contemporaneamente e si è sempre disponibili: sere, sabati,domeniche e feste comandate.
Naturalmente i pagamenti, sempre più miseri, sono a 30, 60, 90 giorni, è "vietato" ammalarsi e le ferie, non retribuite, devono comunque coincidere con le esigenze dell'azienda.
Se nelle regioni settentrionali lo slogan sembra essere una forte presa per il culo, nelle regioni meridionali la frase suona un pò più drammatica. Infatti alla "tradizionale" precarietà si è affiancata una trasformazione del lavoro nero attraverso l'attribuzione alla mansione di un infinita varietà di contratti, dai nomi altisonanti,dalla praticabilità nulla, ma che recitano tutti: zero diritti, zero sicurezza, poco salario. Cambia il nome, ma non cambia la sostanza.
E quindi quello slogan letto da una parte dice l'esatto contrario dello stesso letto altrove: al sud risolviamo il problema con un piccolo maquillage, al nord con un'operazione chirurgica da centro estetico. Ma sempre di trucchi si parla.
La verità è che oggi siamo precari perché lavoriamo (tanto) ad orari pazzeschi e cangianti, per il bisogno di profitto delle imprese prendendo due lire che con l'euro si sono pure dimezzate.
Tutto ciò avviene perchè le imprese sono troppo forti, e troppo gli è concesso, e lo sono perchè molte volte le forme di conflitto tradizionali non sono più state in grado di incidere nella complessità delle trasformazioni della produzione.
Quindi non siamo precari perchè non abbiamo il lavoro; lo siamo perché veniamo retribuiti male e sempre più tardi, perchè l'affitto delle case costa troppo, i servizi privatizzati sono troppo cari, il saltare da un capo all'altro della città per/o in cerca di lavoro ha dei costi e questi sono eccessivi.
Per rivendicare diritti su tutti questi fronti dobbiamo slegarci dalle forme di lotta tradizionali; dobbiamo autorganizzarci e intervenire direttamente laddove la precarietà è schiacciante: nello sfruttamento delle grandi aziende, nel problema della casa e degli affitti, nel costo della vita.

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