il manifesto su Atesia
«Io, Sara, cestinata da Atesia e 1288»
Niente rinnovo dopo ben sette anni al call center del Gruppo Cos. L'ultima campagna per il numero utile dei pupazzi rossi. Una roulette del destino che accomuna migliaia di operatori Un mese mi hanno assegnato una campagna con poche telefonate: la busta paga era sotto 1 euro. Rido o piango? Antonio Sciotto
Roma
Come da sette anni a questa parte, anche ieri Sara è scesa all'«ufficio nuovi contratti» Atesia, per ritirare il suo rinnovo. L'ufficio dei destini non si trova al piano delle postazioni, ma qualche scala sotto, nella pancia del grande call center di fronte agli studi cinematografici di Fellini, Roma Cinecittà. Lì dentro ci sono almeno dieci, forse anche quindicimila nomi di lavoratori passati in questi anni a conoscere «che ne sarà di loro», alcuni hanno avuto la fortuna di essere confermati, altri sono stati semplicemente «cassati». Senza preavviso. Ogni mese, ogni due, ogni tre o sei, la durata è variabile, ma alla fine c'è sempre la gogna del rinnovo: sì o no. Ieri, per Sara (il nome è di fantasia) è stato un no. Lavorava da ben sette anni in Atesia, l'ultima campagna affidatale era quella del 1288, il numero dei «Pelotti», i pupazzoni rossi che in uno spot pubblicitario si permettono di scherzare con un operatore: tutti sorridenti, ovvio. Alla televisione i lavoratori dei call center sono sempre felici. Ma lei, Sara, ha 33 anni, e da quando ne aveva 26 soffre l'ansia del rinnovo, ha buste paga elastiche – una media di 400 euro al mese – contributi all'osso e adesso ha anche ottenuto il benservito. Sette anni finiti nel cestino, senza preavviso né liquidazione, senza che il capo finga neppure di dirti: «Mi dispiace, ti dobbiamo licenziare». L'abbiamo intervistata pochi minuti dopo che aveva appreso di essere stata «non rinnovata»: usciva dal palazzone a vetri di Atesia, mentre davanti al call center i lavoratori tenevano un'assemblea-conferenza stampa sul caso delle ispezioni.
Come hai saputo del licenziamento? Te lo hanno comunicato?
No, l'azienda non ti dice nulla. Ogni volta che scade il contratto devi scendere all'«ufficio rinnovi», e lì cercare il tuo nome su due elenchi. Se sei fortunata sei tra i «confermati». Altrimenti trovi il tuo nome nell'altra lista, tra quelli che non avranno un nuovo contratto.
Hanno motivato il «non rinnovo» dopo ben sette anni?
Sono andata a chiedere una spiegazione dal mio project leader, e mi ha risposto che la campagna a cui ero addetta, quella del 1288, non riceveva più telefonate sufficienti a giustificare la mia presenza nel call center. Ma io ho lavorato tutto agosto, e il telefono squillava: chiedevano persino ad alcuni operatori di estendere il loro turno, cioè venire a rispondere anche nel giorno di riposo. Io credo che non mi abbiano rinnovata per un altro motivo: da ottobre avrei compiuto 7 anni esatti dal primo contratto, e secondo l'ultimo accordo sindacale quelli con la mia anzianità avrebbero dovuto essere assunti a tempo indeterminato. Ecco, si sono voluti liberare di me.
Dunque in questi anni hai sempre lavorato. Ogni quanto venivi «rinnovata»?
Non c'è un periodo fisso: all'inizio facevano contratti di un solo mese, poi si è passati a quelli di due e tre. Ultimamente ne stipulavano di sei mesi, io il più recente lo avevo firmato in febbraio. All'inizio ci facevano persino pagare l'affitto per la postazione, quando eravamo partite Iva. Successivamente sono arrivati i contratti cococò e quelli a progetto.
Al mese quanto guadagnavi?
La busta paga èassolutamente variabile, sono stata addetta a molte campagne. In genere riesco a fare 400, massimo 500 euro. L'estate scorsa mi avevano assegnato una campagna per cui arrivavano pochissime telefonate al giorno, per cui non valeva la pena venire. Lo trovavo veramente offensivo per la mia dignità, e a un certo punto ho deciso di non venire più. Un mese ho preso anche una busta paga con il compenso netto sotto un euro. Non so se ridere o piangere.
Hai fatto altri lavori? Come riesci a vivere con 400 euro al mese?
Un anno facevo la mattina in Atesia e il pomeriggio in un call center all'Eur, distante da qui. Lì lavoravo su campagne di Autostrade per l'Italia e dell'Istituto dermatologico dell'Immacolata di Roma. L'ho lasciato, ho preferito conservare il contratto in Atesia, ma evidentemente ho fatto male a fidarmi. Devo ancora vivere con i miei, a 33 anni non ho davvero scelta. Adesso, dopo sette anni di lavoro mi hanno cestinata come una scarpa vecchia. Ma io a questo punto faccio causa.
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Atesia, l'esposto si scrive così
Il testo del 27 luglio 2005 con la denuncia dei precari Può tornare utile a chiunque subisca abusi sul lavoro
Tripi non vuole assumere Il capo del gruppo Cos afferma che sarebbe troppo costoso. La Cgil a uno snodo cruciale
Antonio Sciotto
Roma
Sarebbe utile che i lavoratori italiani chiamassero più spesso l'ispettorato, data l'esperienza Atesia. Nel call center più famoso d'Italia da anni non si riusciva a mettere ordine, e adesso – grazie ai controlli effettuati dagli ispettori – si è almeno chiarito il tipo di lavoro svolto dagli operatori: subordinato, di conseguenza inquadrabile esclusivamente sotto la tipologia del lavoro dipendente. E' vero che l'ispezione si è conclusa prima che la circolare Damiano fissasse nuovi criteri interpretativi della legge 30 (con la distinzione inbound/outbound), ma d'altra parte sulla definizione di lavoro subordinato ancora oggi fa testo l'articolo 2094 del Codice civile, ed evidentemente gli ispettori hanno visto che di quel tipo di lavoro si tratta. A proposito – e ci torneremo alla fine dell'articolo – abbiamo ritenuto utile pubblicare il testo dell'esposto presentato il 27 luglio 2005 da cinque membri del Collettivo Precari Atesia, vicino ai Cobas, tanto per dare coraggio ad altri lavoratori che vogliano denunciare le aziende «cattive».
D'altra parte, anche se volessimo usare le nuove categorie esposteci qualche giorno fa (vedi il manifesto di giovedì 24 agosto) dal giuslavorista Nanni Alleva, comunque al call center difficilmente si potrebbero trovare delle forme di lavoro autonomo o parasubordinato: si parla infatti di un'organizzazione del lavoro (mezzi, strategie, la lista dei clienti da chiamare etc.) e di un risultato (rapporto con i committenti, criteri di efficienza etc.) in mano solo all'azienda, il che prefigura una dipendenza «socio-economica» del lavoratore, indipendentemente dal grado di controllo cui è sottoposto (rapporto con i capi, tempi di lavoro, orari). Criteri, quelli della dipendenza «socio-economica», fatti propri dalla Cgil nell'ultimo Congresso, chiuso a Rimini nel marzo scorso: Alleva fa parte della Consulta Cgil, ha preparato le proposte di legge avanzate dal sindacato e firmate da cinque milioni di cittadini, delineando la nuova definizione di lavoro dipendente attraverso la riforma dell'articolo 2094 del Codice civile, appunto con il concetto di dipendenza «socio-economica» (ripreso anche dalla campagna Precariare stanca). Sarebbe ora alquanto anomalo che la Cgil accettasse l'ipotesi «al ribasso» fissata dalla distinzione inbound/outbound della circolare Damiano, perché vorrebbe dire condannare dei dipendenti effettivi (organizzazione e risultato «alieni» al loro lavoro, decisi dall'azienda) ad essere perpetuamente lavoratori di serie B (bassi contributi, minori tutele, paghe a cottimo, niente articolo 18). Soprattutto, firmerebbe un'interpretazione della dipendenza che farebbe scuola per tutto il mondo del lavoro, e che influenzerebbe – lo stesso ministro Damiano non ne fa mistero – i prossimi interventi complessivi sulla legge 30.
E ora il testo dell'esposto, ricordando en passant che Alberto Tripi, titolare del call center Atesia e del gruppo Cos Almaviva, ha spiegato ieri che «non si possono assumere tutti i lavoratori (l'ispezione chiedeva il passaggio dei 3200 cocoprò a contratti dipendenti, ndr) perché i costi aziendali andrebbero fuori mercato». Assocontact (ramo confindustriale dei call center) dal Sole 24 Ore ha denunciato i «cantinari», ovvero quei call center che, spesso in nero e dai sottoscala di tante città italiane, fanno concorrenza sleale, obbligando i «virtuosi» ad abbassare i costi. Motivazioni comprensibili, e il governo dovrebbe intervenire sui committenti (molti di loro pubblici) che fanno gare al ribasso, tra i quali grosse compagnie come la Telecom (in un'inchiesta, tra aprile e maggio 2005, il manifesto ha denunciato l'esistenza di «cantinari» operanti per la Telecom a Catania e Roma). Ma certo non possono essere i lavoratori a pagare con compensi da fame e zero diritti la disonestà delle imprese «furbette».
Di seguito il testo integrale dell'esposto: «I sottoscritti (seguono i nomi dei lavoratori, ndr) chiedono un intervento urgente di codesta Direzione Provinciale inteso a verificare la natura dei rapporti di lavoro costituiti da Atesia s.p.a. con gli attuali operatori di call center. A tal fine rappresentano che la generalità degli attuali operatori, in numero di circa 4 mila unità, sono tutti stati giuridicamente inquadrati e retribuiti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ovvero con contratto a progetto. Tuttavia, prescindendo dalla qualificazione giuridica del contratto, i sottoscritti ritengono che per le modalità operative in atto, i contratti instaurati siano tutti di tipo subordinato».
«Si aggiunge che, sulla base di un accordo intervenuto con Cgil, Cisl e Uil, gli attuali contratti di collaborazione coordinata e continuativa, che giungeranno a scadenza il 30 settembre 2005, verrebbero sostituiti da contratti di apprendistato, ovvero da contratti di inserimento, e, per la parte residuale, da contratti a progetto. La circostanza determinerebbe, almeno per i lavoratori assunti con contratti di apprendistato e di inserimento, una notevole riduzione dei compensi». «Inoltre, il mantenimento in servizio, con le trasformazioni di cui sopra, sarebbe condizionato alla firma di un "verbale di conciliazione", con rinuncia a qualsiasi diritto o richiesta relativa al periodo di lavoro pregresso».
«Nel frattempo, circa 800 operatori addetti al servizio "out bound" (chiamate in uscita per attività promozionali) sono stati momentaneamente sospesi dal servizio con la motivazione che le relative campagne erano state esaurite. Di fatto sono stati messi in "ferie obbligatorie" non retribuite, così come avviene tutti gli anni di questo periodo, dal momento che nel mese di agosto l'attività naturalmente si riduce in maniera drastica. La circostanza ha determinato un notevole e diffuso malumore per cui gli operatori hanno deciso autonomamente di organizzare una pausa collettiva per discutere il problema».
«Quattro colleghi facenti parte del Collettivo, che, come altri, si sono attivati per organizzare la pausa, sono stati licenziati in tronco, con la motivazione che la loro condotta avrebbe configurato "la definitiva lesione del vincolo fiduciario posto a base del contratto di collaborazione" (vedere copia della lettera di licenziamento del lavoratore G. V. che si allega)».
«Si rappresenta l'urgenza dell'intervento, dal momento che entro il 30 settembre i lavoratori verranno invitati alla novazione del rapporto previa sottoscrizione dell'Accordo Conciliativo di cui sopra, condizione questa che deve ritenersi, tra l'altro, ricattatoria, in quanto in alternativa il contratto in atto viene comunque a scadere e il rapporto di lavoro non verrebbe più rinnovato. Per opportuna conoscenza si allega un "Dossier" da noi predisposto in merito ai fatti di cui trattasi e alla natura del rapporto di lavoro degli operatori telefonici». Domani, alle ore 12 davanti al call center di Cinecittà la conferenza stampa dei lavoratori.