DA PARIGI
CONTRO IL CPE, « COCKTAIL, PAVE’, EMEUTE »
Appunti sulle mobilitazioni francesi (dal 16 al 28 marzo, in avanti…)
La Francia si muove, è in agitazione!
Un movimento nato quasi in sordina due mesi fa ha ormai raggiunto un’estensione ed un’intensità tale da straripare e debordare la semplice opposizione
ad una legge, il CPE (contratto di primo impiego), già approvata dal Parlamento, e conquistare alla sua causa fasce sempre più estese di popolazione.
Nulla può dirsi concluso e tutto è ancora da giocare, da una parte e dall’altra della barricata – ognuno, d’altra parte, innalza le sue. Il governo che da un
mese ha perimetrato di cinte la Sorbona, istituendo di fatto, e gestendo in assoluta spregiudicatezza, uno stato d’assedio permanente nel cuore del suo
centro metropolitano, una no-walk zone costellata di check-points presidiati da sbirri robotizzati a fianco dei ritrovi notturni di svago e consumo.
Il movimento, che più volte si è trovato a confrontarsi con griglie mobili e poliziotti hi-tech, adattandovi le sue risposte sempre in divenire, talvolta all’insegna
del motto « cocktail pavé émeute » (« cocktail pietra sommossa »).
L’evolversi della situazione spinge entrambi i contendenti a ridefinire ed aggiornare, giorno per giorno, tattiche, mosse, finte. Con una sostanziale differenza :
da una parte il quadro malsano e mortifero della politica istituzionale, corrosa al suo interno da rivalità di partito, personalizzazione e implosione del valore
stesso della rappresentanza. Dall’altra una produzione sociale di ricchezza soggettiva ed incompatibilità sistem(at)ica che spinge in avanti l’orizzonte della
mobilitazione ben oltre lo specifico del CPE, delineando lo scenario di una radicale e articolata contrapposizione con la politica istituzionale che rifugge il
terreno della mediazione e della concertazione con la controparte.
Per natura e scommessa guardiamo sempre prima al movimento, e solo dopo alla Politica-Istituzione, così come in altri tempi si diceva « prima la Classe, poi
il Capitale » (comunque li si voglia declinare, sempre della contrapposizione di questi due poli si tratta !).
Il movimento
Come già nel caso di altre lotte cui abbiamo recentemente partecipato (vedi il No-tav), questo movimento è andato formandosi intorno ad un obiettivo e ad una
contrapposizione specifica: il rifiuto del CPE, una legge che istituzionalizza un rapporto di lavoro individualizzato tra il singolo dipendente e l’azienda all’insegna
della precarizzazione più spinta, con il permesso accordato a quest’ultima di licenziare il dipendente senza bisogno di addurre una « giusta causa ». Su questo il
movimento non transige e ne chiede il ritiro immediato. Di questa legge, e di una precedente anch’essa già approvata, il CNE (contratto nazionale d’impiego) che
sostanzialmente prevede lo stesso tipo di rapporto di lavoro all’interno di imprese con meno di venti dipendenti.
Ma ancora, il movimento guarda molto più lontano e legge tutti questi provvedimenti sullo stesso piano di un progetto radicale (da parte capitalista) di
precarizzazione della vita nel suo complesso, un attacco a trecentosessanta gradi all’esistente tutto, da sussumere e mettere a valore, purificandolo di ogni residuo
inservibile alle logiche di un mercato sempre più onnivoro, che si riproduce costantemente, non senza difficoltà, secondo il paradigma distruzione-innovazione.
L’impressione generale che molti tra quanti hanno partecipato ad alcuni di questi appuntamenti di lotta ne hanno ricavato è, però, quella di una posta in gioco molto
più vasta e generale. Impressione del resto confermata da tutti i francesi coinvolti in queste lotte e variamente interpellati che tutte e tutti, nessuno/a escluso/a ,
rivendicano ed assumono esplicitamente.
Il movimento contro il CPE è quindi diventato una sorta di cartina di tornasole di tutte le contraddizioni del capitalismo francese e, azzardiamo, europeo.
C’è dentro un po’ della passata sommossa delle banlieues così come del No alla Costituzione europea; alle quali bisogna aggiungere il re-investimento di una miriade
di lotte particolari, parziali, a volte corporative. Gli stessi soggetti coinvolti nel movimento sono infatti i più variegati e vedono fianco a fianco, non senza difficoltà e
limiti, salariati e disoccupati, sans-papiers e intermittenti, vecchi militanti e nuove forze vergini alla partecipazione politica (forse le più interessanti e promettenti).
E’ infatti a questo livello che bisogna leggere il ruolo di traino e avanguardia svolto dal soggetto studentesco ed estensivamente giovanile. Non tanto, o comunque non
solo, per ragioni e interessi meramente corporative, ma forse, e soprattutto, perché è l’unico soggetto che può ancora (per quanto ancora?) fare un uso altro del
proprio tempo, che ne ha ancora da « perdere » e spendere per battaglie di ordine generale.
Anche dal punto di vista delle pratiche e delle tattiche messe in campo questo movimento presenta alcuni spunti di notevole interesse. Al di là di certe incrostazioni
democraticiste e formalistiche, come l’ossessione di mettere costantemente a voto qualunque decisione assembleare, nei momenti dell’eccezione prevale una sana
tendenza al « fare » innanzi tutto, come dimostrano tutti i momenti di scontro e contrapposizione radicale. In quel caso sono solo i leaderini del sindacato studentesco
a lamentarsi del mancato « voto democratico ». Così è successo durante l’occupazione della Gare du Lyon e la successiva resistenza allo sgombero, quando
centinaia di giovani rispondevano in coro al Commissario di Polizia che intimava loro la dispersione « J’y suis, j’y reste, je ne m’en vais pas ! ». (« Qui sono, qui resto,
non me ne vado ! »). L’attenzione sarebbe allora da porre sul ridestarsi di una soggettività sociale autonoma e conflittuale, estremamente individualizzata ma al tempo
stesso fortemente disponibile a processi di ri-soggettivazione (politica) collettiva. Un potenziale enorme, non esente da rischi di recupero istituzionale (e su questo siamo
sicuri che la Sinistra Istituzionale giocherà tutte le sue carte). Un rischio in realtà forse deformato dalle nostre lenti tutte italiane, dal momento che in Francia i movimenti
sociali sono da sempre molto poco ideologici e hanno, nei confronti del momento elettorale, un approccio pragmatico e da « valore d’uso», ambivalente ai limiti
dell’ambiguità. Il problema è piuttosto quello del come questa ricchezza sociale diffusa possa tradursi in una più esplicita politicità, sedimentando conflittualità da
rigiocare in battaglie future. Per ora, intanto, si pensa –giustamente ! – a vincere questo pezzo particolare di uno scontro più generale, e speriamo, se possibile, ancor
più generalizzato.
Il quadro istituzionale
Nonostante la tendenza a riprodursi a discapito di qualunque scossone infertogli, anche il ceto politico viene ridefinito dalla crescita di questo movimento. Già questa
possiamo leggerla come parziale vittoria del NO-CPE. In molti parlano di possibile « fine della Quinta repubblica » e non avremmo di che stupirci per la capacità,
storicamente connaturata al capitalismo francese, di trovare le risposte istituzionali adeguate ai conflitti che periodicamente lo attraversano. Ma anche a questo livello
stanno insorgendo crepe che ci dicono che qualcosa sta cambiando e che la République va sempre più allineandosi ad un orizzonte europeo di difficoltà nella gestione
delle proprie contraddizione interne, sempre meno tali, appunto perché europee. Le sommosse delle banlieues ed il No all’Europa (a questa Europa) ne sono il sintomo
più evidente.
Sul piano della politica spiccia, costellato di tutte le miserie cui siamo familiari nel nostro paese, assistiamo al delinearsi di una biforcazione in seno allo stesso Ump (il partito
di Chirac al governo): da un lato, la tendenza pesante e sempre più inservibile della tradizione gollista impersonata oggi dall’asse Chirac-Villepin; dall’altro, il fascismo
post-moderno e populista del Sarkozy campione della « tolleranza zero », il nemico numero uno delle banlieues alla costante rincorsa dell’elettorato lepenista. Non è un
caso che quest’ultimo cerchi di smarcarsi da una legge fortemente impopolare preferendo farsi fotografare nel « solidale » gesto di stringere la mano col celerino di turno
« vittima » di manifestanti sempre più difficilmente distinguibili dalla racaille delle periferie.
Più insidioso il discorso dei vari partiti della Sinistra Istituzionale che, come abbiamo già osservato, sapranno giocare tutte le loro carte e capitalizzare, a loro esclusivo
vantaggio, le ragioni di questo movimento. Rigiocando ancora una volta, mentendo sapendo di mentire, tutto l’armamentario retorico e contaballe del « posto fisso », del
« le persone vengono prima », di un welfare oggettivamente non più possibile. In questo senso ha ragione De Villepin a dire (da parte sua) che « loro vivono nel mondo
virtuale, io in quello reale ».
Una questione aperta : l’inclusione delle Banlieues nel movimento
Una scommessa resta tutta da giocare per questo movimento, un grosso punto di domanda circa la sua capacità di diventare punto di riferimento per fasce più estese di
proletariato metropolitano, e trasformare cosi’ il movimento contro il CPE in terreno di una ricomposizione sociale (e magari politica) effettiva. L’inclusione delle banlieues
come questione aperta del movimento. Le difficoltà esistono e sono molte, prodotto di vent’anni di guerra ai poveri consumatasi all’ombra dell’indifferenza (per non dire
complicità) della Sinistra. Ma almeno il problema è stato posto e viene afrontato dal movimento, con tutti i limiti del caso. Per ora tutte le risoluzioni delle Assemblee
Generali delle varie facoltà chiedono un’amnistia generale per tutti gli arrestati del movimento e per quelli incarcerati durante le sommosse di novembre. Un piccolo passo
sempre a rischio di involuzione, ma importante. Molto resta però ancora da fare ed un ruolo importante lo giocheranno le dinamiche che saprà portarvi il movimento dei
liceali, ricco com’è di una composizione sociale e razziale effettivamente eterogenea, soprattutto nelle stesse banlieues. O questo movimento risolverà questo nodo per ora
inestricabile, perlomeno tenendolo all’ordine del giorno, o sarà l’ennesimo capitolo dell’acuirsi di una guerra tra poveri che vedrà di nuovo scontrarsi, da una parte una classe
media sempre più proletarizzata e gelosa dei suoi residuali privilegi, dall’altra il serbatoio enorme di un’esercito industriale di riserva sempre più difficilmente politicizzabile.
In questo senso, ci sembra significativo che, mentre media francesi e internazionali, a braccetto con la politica istituzionale, insistono nei loro tentativi atti a dividere il
movimento tra buoni e cattivi, procedendo ad una rimozione delle urgenze che le sommosse novembrine delle banlieues e la loro partecipazione a queste mobilitazioni
pongono all’ordine del giorno, le realtà di movimento continuino, invece, a ragionare sul fenomeno e sulle istanze che porta con sé, riflettendo sulle problematiche ed al
tempo stesso valorizzandone le potenzialità ricompositive, a fronte della reale esigenza di opporsi con forza a livello nazionale ed europeo alla precarietà di oggi e di domani.
COLLETTIVO UNIVERSITARIO AUTONOMO – TORINO